“Ehi, vecchio, vieni un po’ qua”
Il barbone si alzò barcollando dall’angolo dove stava cercando di recuperare la lucidità perduta la sera prima, o meglio, il mese, l’anno prima. Negli occhi spenti aveva la consapevolezza che la sua esistenza non lo avrebbe mai portato a fare altro se non trascinarsi a fatica verso una meta inutile.
Quel giovane che lo aveva invitato a raggiungerlo, però, gli ispirava fiducia. Di solito, quando qualcuno richiamava la sua attenzione, era solo perché voleva usarlo per sentirsi meglio con sé stesso. La gente lo utilizzava come ricostituente, godeva delle sue disgrazie illudendosi di essere più fortunato di lui, migliore di lui; ma quel ragazzo no, non pareva come gli altri stolti che erano soliti avvicinarlo.
Il vecchio arrivò, ansimante.
“Brutta serata, eh?”
“Non diversa dalle altre. Non vedo l’ora di finire questa bottiglia, scordarmi di tutto per qualche ora e stare un po’ in pace”
Il ragazzo si sfilò un anello dal dito, lo porse al barbone e se ne andò, senza dire una parola. Il vecchio rimase impietrito, spiazzato: da un momento all’altro, si era ritrovato in mano un cerchio d’oro con su sopra quello che aveva tutta l’aria di essere un diamante, un gran bel diamante. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma la situazione era talmente surreale che non riuscì a proferire parola. Una lacrima bagnò il suo volto, e poi un’altra, e poi un’altra ancora. L’ultimo regalo lo aveva ricevuto anni ed anni addietro, quando tutto era diverso, quando le persone, vista la posizione che occupava all’epoca, si sentivano obbligate a tempestarlo di doni, praticamente ogni settimana. Era il primo regalo disinteressato da anni, forse da una vita.
Il giovane, mentre si allontanava, guardava davanti a sé con un sorriso compiaciuto, soddisfatto. Sapeva che quel vecchio, con ogni probabilità, non ne avrebbe avuto per molto. Era solo, malato ed impaurito, mentre lui aveva tutto: prospettive, sogni, possibilità, la prima delle quali pochi giorni dopo. Un po’ di beneficenza a quel pover’uomo non gli sarebbe costata niente, mentre lui, il barbone, avrebbe magari vissuto i suoi ultimi giorni con un po’ più di serenità, avviandosi sul sentiero della morte con qualche speranza e, se vogliamo, anche l’illusione, l’illusione che no, non stava tutto per finire, che ce l’avrebbe fatta, che non si sarebbe spento solo come un cane, nella solitudine di un vicolo.
Per il barbone, in realtà, non c’era speranza: sarebbe morto tre giorni dopo. Grazie al gesto del ragazzo, però, quei tre giorni furono i migliori dei suoi ultimi, terribili anni di vita: vagò per quello che era diventato il suo quartiere condividendo la propria gioia con chiunque gli passasse a tiro, affrontando ogni minuto, ogni secondo con un sorriso genuino, sincero, quasi convinto che, da un momento all’altro, sarebbe passato qualcuno con un regalo per lui.
Il giorno della sua morte, il ragazzo, che ogni sera passava per quelle vie, lo vide mentre stava lentamente spegnendosi. Vide il suo sorriso deformarsi in una smorfia di dolore, ma fu felice, conscio del fatto che il bel gesto di qualche sera prima aveva reso meno arduo il cammino del barbone verso la fine. Il bel gesto di un sabato sera di dicembre, quando il più forte aveva regalato qualcosa al più debole.

P.S. : a Londra già tremano. Ah, grazie per una partita normale: ne avevamo bisogno. Anche se, un pochino, il pathos della rimonta mi è mancato. Per una volta, però, ne ho fatto volentieri a meno.
P.S.2: un saluto ad Emanuele.
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